Località: Bagheria(PA)
Il nome della città ha origini arabe, anche se diverse sono le interpretazioni. Secondo alcuni il significato sarebbe zona che discende verso il mare “Bayharia”; secondo altri invece significherebbe la Porta del Vento da “bab al Gerib”.
La città di Bagheria fu fondata nel XVII secolo, 1568, per volere di Giuseppe Branciforte, appartenente alla famiglia dei Principi di Butera e diventò un luogo di villeggiatura per le ricche famiglie palermitane che cominciarono a costruire meravigliose e imponenti ville, che oggi caratterizzano la città.
Prima di allora nell’area di Bagheria era solo un’area che aveva visto girare intorno a sé la storia. Difatti al loro arrivo i Fenici fondarono sul monte Catalfano la città di Solunto che insieme a Palermo e Mozia divenne uno dei principali centri della loro dominazione. Dopo i Fenici fu la volta degli arabi che cominciarono ad utilizzare la zona di Bagheria come una zona agricola per coltivare agrumi, olive, mandorle e fichi d’india. Le prime costruzioni sono del cinquecento quando vennero costruite delle torri di avvistamento e i contadini e braccianti cominciarono a costruire i primi casali, ma per un vero e proprio agglomerato urbano bisogna attendere l’arrivo di Branciforte.
PALAZZO BUTERA
prestigiosa sede di rappresentanza del Comune di Bagheria, sorge in fondo all'omonimo corso ed è il più antico dei palazzi bagheresi. Fu fatto edificare nel 1658 da Giuseppe Branciforti, principe di Pietraperzia e Leonforte, conte di Raccuglia e cavaliere del Vello d'Oro. Dopo la morte di un figlio e dopo una cocente delusione politica, il principe amareggiato per essere stato coinvolto in una congiura antispagnola, che gli costò la nomina a vicerè di Sicilia, scelse l'esilio volontario, lasciando la sua residenza di Palermo e facendosi costruire un'imponente castello nelle sue terre di Bagheria.
Il nucleo originario di Palazzo Butera ricorda un castello medioevale, protetto da mura e da due torri di guardia merlate e camminamento per le ronde. La torre rivolta verso Termini Imerese, ormai cadente, fu demolita alla fine del XIX secolo, mentre quella che guarda Palermo, ancora oggi esistente, custodiva, un tempo, la collezione d’armi e costituiva l'ingresso al palazzo dalla consolare Valeria, venuta alla luce durante l'ultimo restauro.
Sulla facciata della torre fa bellavista l'incisione ''O Corte a Dio'' che insieme a quella in spagnolo che sovrasta l'ingresso principale del castello, testimoniano lo stato d'animo amareggiato del principe Branciforti: ''Ya la esperanza es perdida, Y un sol bien me consuela, Que el tiempo, que passa y buela, Llevara presto la vida'' (Ogni speranza è ormai perduta, un solo bene mi consola che il tempo passa e vola e presto mi toglierà la vita).
Il castello ha forma rettangolare con due ampie scalinate: una sul fronte sud e l'altra sul fronte est. Il portale sopra la scalinata sud fu realizzato nel '500 ed è coronato da una magnifica decorazione di stile spagnolo che riproduceva con freschezza grappoli di frutta, foglie e fiori. Una decorazione simile la riscontriamo anche nella torre sud intorno ad una nicchia che ospita una statuina raffigurante la Madonna. Il castello si snoda attorno a due grandi cortili ed è circondato da bassi 'dammusi' che anticamente erano abitati dai servitori o ospitavano le scuderie, dando vita ad un piccolo borgo, nato all'ombra del castello.
All'interno delle mura si trova anche una chiesetta e, nelle vicinanze del palazzo, un teatro.
Il palazzo si eleva su tre livelli con tanti ambienti che hanno subito, nel corso del tempo, notevoli cambiamenti. Nel primo livello si trovano l’anticucina, la cucina grande, il passetto ed il quartino dell’abate Farina; la scala di nuova fattura in acciaio marmo e vetro. Sul secondo livello si trovano lo splendido salone con gli affreschi del Borremans, la stanza della Principessa, l’appartamento del Principe. Sul terzo livello il camerino dell’armeria, la camera per retret, la sala dell’orologio, dove si può ammirare il meccanismo dello stesso, rimesso in funzione durante il restauro.
Nel 1797 il principe Ercole Michele di Branciforte, a chiusura del grande parco, con tracciati di vialetti convergenti verso la fontana dell'Abbondanza dello scultore Marabitti (oggi a Villa Trabia) edificò la "Certosa", un padiglione neoclassico con portico di colonne. L'edificio fu progettato per raccogliere un bizzarro museo del costume con figure in cera di monaci certosini, eseguite dal Ferretti, alle quali dettero anche volto i piu noti personaggi dell'epoca. La singolarità dell'idea rese la "Certosa" molto conosciuta e meta turistica obbligata. Oggi è un monumento quasi scomparso. Nel parco è sorto un ordinato quartiere popolare.
La Villa, dal 2005 è di proprietà del Comune di Bagheria che ne ha completato il restauro. Oggi ospita il Museo del Giocattolo "Pietro Piraino".
PALAZZO ARAGONA CUTO’
Costruito tra il 1712 e il 1716 per volontà del principe di Aragona, Luigi Onofrio Naselli, su disegno dell'architetto Giuseppe Mariani, il Palazzo Aragona Cutò è ubicato nella via Consolare nei pressi della Stazione ferroviaria della città di Bagheria.
Ha una massiccia struttura quadrangolare, sormontata da una vasta loggia-belvedere, la cui vista in lontananza incuriosisce e attrae.
Da questa loggia anticamente il principe e la nobiltà palermitana solevano assistere agli spettacoli teatrali ed ai fuochi d'artificio del "festino" di S. Rosalia di Palermo ed ancora oggi da questa terrazza coperta è possibile godere del suggestivo panorama sulla città di Bagheria e sullo splendido Golfo di Palermo.
Sul frontone ai lati dell'ingresso principale, all'interno di nicchie, sono presenti due statue allegoriche, oggi monche, in pietra di tufo mentre busti di leoncello, che decorano i timpani delle aperture principali, rappresentano l'emblema araldico dei Naselli Aragona.
Si accede dal piano terra al piano nobile ,mediante uno scalone monumentale, a due rampe simmetriche, la cui chiusura all'interno del cortile rappresenta una vera rarità per una villa di campagna.
Infatti questo Palazzo è l'unico a non presentare quello scalone esterno che pure costituiva una delle prerogative principali delle ville siciliane dell'epoca.
Al piano terra si trovano gli ambienti di servizio mentre al piano nobile abitavano i proprietari.
Sono attribuiti a Willem Borremans gli affreschi, ancora visibili, eseguiti intorno al 1726 sulle volte delle grandi sale del corpo principale in cui furono raffigurati soggetti mitologici quali Il giudizio di Paride, Amore di Venere e Marte, Mercurio e Argo, Ercole e Anteo e soggetti tratti dal Nuovo testamento quali Annunciazione, Visita di pastori, Visita dei Magi, Fuga in Egitto.
Nel 1803 questa grande residenza estiva, già appartenuta ai Principi di Aragona, fu venduta ad Alessandro Filangeri, Principe di Cutò per cui furono cambiate le insegne con monogramma in ferro battuto sul portone d'ingresso.
Complesse vicende patrimoniali preludono al passaggio della proprietà nel 1908 dal principe Alessandro Tasca di Cutò al nipote Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il famoso scrittore autore de "Il Gattopardo", per finire nel 1923 in mani borghesi.
Acquistata dal Comune nel 1991, dopo il restauro su progetto dell'architetto Antonio Belvedere, attualmente il Palazzo è diventato sede della Civica Biblioteca "F.Scaduto" ma al suo interno ospita di recente anche il Museo del Giocattolo "Pietro Piraino", aperto ai visitatori e di rilevante pregio artistico.
Il suo spazio interno ed esterno viene quasi quotidianamente offerto a visite guidate e a diverse manifestazioni culturali, quali mostre d'arte, conferenze, concerti, spettacoli di ogni genere, presentazione libri, alle quali prende parte con vivo interesse gran parte del pubblico.
VILLA PALAGONIA
La sua costruzione fu iniziata nel 1715 da Francesco Ferdinando Gravina e Bonanno, Principe di Palagonia. Egli fu uno dei primi nobili di Palermo a edificare una residenza a Bagheria che in quel tempo era un’immensa campagna.
Il progettista fu uno dei più famosi del tempo, il frate domenicano Tommaso Maria Napoli.
Nel 1777, Ferdinando Francesco junior, nipote del fondatore, teneva ancora in funzione il cantiere: decorava gli interni e faceva costruire i “mostri” che, man mano che erano scolpiti, venivano collocati ai bordi del lungo viale cintato e sulle esedre.
La villa può considerarsi finita solo nel 1792.
Villa Palagonia fu una tappa obbligatoria di tutti i viaggiatori del '700, ed anche dopo, tra cui il Goethe che la visitò nel 1787 e Houel che ci ha lasciato anche una incisione.
La curiosità maggiore era suscitata dai mostri e dalle decorazioni più che dall’edificio in sé.
I mostri erano molte centinaia, e non tutti il Palagonia riuscì a collocarli.
La loro distruzione o rimozione cominciò subito dopo la sua morte, da parte degli stessi eredi.
Nella Villa adesso si entra da Piazza Garibaldi. Passando per un vano carraio che attraversa interamente il blocco della costruzione si arriva alla facciata principale con doppio scalone in marmo di Billiemi (degne di uno sguardo le due teste spegnitorcie al lati del portone).
All'interno sono accessibili solo alcune sale prive di arredamento. Al primo piano è un vestibolo ellittico affrescato con le “fatiche di Ercole”.
Sopra gli stipiti delle porte, due iscrizioni dettate dal Palagonia junior: “Cangiò l'antica interior struttura al gusto di moderna architettura.
L'altra, sulla porta che dà nel salone degli specchi, è una chiave di lettura, suggerita dallo stesso Palagonia, dei mostri e di tutte le “meraviglie” e le stranezze della Villa: “Spècchiati in quei cristalli e nell'istessa magnificenza singolar contempla di fralezza mortal l'imago espressa”.
Il salone adiacente ha il soffitto a padiglione rivestito da centinaia di pezzi di specchi applicati con angolazione sempre diversa in modo da moltiplicare all'infinito l'immagine di chi sta nella sala.
Alle pareti marmi, medaglioni del Gagini e busti di antenati, ed anche dei finti marmi (è vetro dipinto ad imitazione dei marmo).
Uscendo dal palazzo, va visitata anche la cappella, e poi vanno guardati con calma i mostri di tufo sulle dipendenze della servitù (Palagonia aveva 300 persone di servizio).
Dal 1885 la villa è di proprietà dell famiglia Castronovo che attraverso la sua Fondazione rende la villa in parte visitabile.
VILLA VALGUARNERA
Fondata nel 1713 da donna Maria Anna del Bosco Gravina, principessa di Valguarnera, su progetto del Napoli (morto nel 1725), fu costruita da Giovanni B. Cassone e Vincenzo Fiorelli.
La Villa ha una architettura magnifica. La facciata, curva, riceve in sé l'ampio doppio scalone accompagnandolo alla loggetta chiusa che immette nella abitazione. Su di essa statue del Marabitti.
La Villa, come fu raffigurata in una stampa della fine del Settecento, era costituita dal viale, dalla corte d'onore con le case della servitù, dai magazzini, dalle stalle, dal teatro di corte, dalla Cappella, dalla residenza vera e propria del proprietario, dalla pescheria, dai giardini all'italiana, dalla collina detta "Montagnola", dalla flora con viali interni, dal "caffè house" e da campagne coltivate ad uliveto, vigneto e orti.
Elegante è la simmetria perfetta dei timpani, finestre, finte finestre, ed abbaini.
Sui corpi bassi, semicircolari e legati alla villa lateralmente, si aprono due ampie terrazze.
Il prospetto posteriore è dritto e su di esso si innesta una costruzione a terrazza.
Tanto magnifica è la posizione di Villa Valguarnera, quanto sontuosi sono i suoi ambienti interni. Ha un salone ellittico al centro decorato da Elia lnterguglielmi. Il Semerario, il Velasco, i fratelli Fumagalli, decorarono i saloni del piano terreno. Il Luzzardi affrescò le sale del piano superiore.
La Villa è ben tenuta dai proprietari, gli Alliata di Villafranca.
VILLA CATTOLICA
Costruita nel 1736 da Francesco Giuseppe Bonanni e Filangeri, Principe di Roccafiorita e di Cattolica, le sue facciate sono movimentate soltanto da due esedre parallele di cui quella anteriore accoglie lo scalone.
I vasotti in cima alla fabbrica, quando erano completi, dovevano richiamare la merlatura feudale.
Il corpo centrale di fabbrica è racchiuso entro una corte cruciforme, composta da case basse e dalla Cappella di corte, dedicata a S. Rosalia, in memoria di Rosalia del Bosco, madre di Francesco Bonanno.
In origine gli ingressi alla Villa erano quattro, uno per ogni fronte. L'ingresso attuale (il principale era posto di fronte lo scalone) portava ad una artistica rotonda situata come avamposto del Corso Butera accanto ad una delle storiche “guglie”, oggi scomparse, che hanno dato il nome all'attuale rione: “Punta Guglia”.
Adibita a caserma prima ed a lazzaretto poi, successivamente restaurata, oggi ospita il Museo Guttuso.